COMUNE di ROGLIANO (CS) FRAMMENTI di STORIA dei BENI COMUNI - 31 agosto 1860

A Rogliano Garibaldi emanò i famosi Decreti con cui ridusse il prezzo del sale, indispensabile per conservare gli alimenti e di difficile reperimento; abolì la tassa sul macinato per le granaglie, ad eccezione del frumento. Deliberò soprattutto che gli abitanti poveri di Cosenza e dei Casali potessero esercitare gli usi civici di pascolo e semina gratuitamente nelle terre demaniali della Sila. Era questo il provvedimento tanto atteso dai contadini.
di FRANCESCA CANINO

“Chi mai degnamente narrar potrebbe l'ingresso del Dittatore in questa Città? Ci contenteremo perciò di pochi cenni e diremo soltanto che la nostra provincia non fu seconda a nessun'altra nel festeggiare l'arrivo dell'Uomo straordinario, il cui cammino non fu che un continuo trionfo. Da Rogliano a Cosenza percorse dieci miglia tra un popolo numeroso che da paesetti e villaggi era disceso sulla via per contemplare un istante l'aspetto del nostro Liberatore. Il giorno 31 agosto resterà nei nostri cuori perennemente scolpito quando verso un'ora di giorno, lo vedemmo giungere e come torrente sentimmo traboccarci la gioia d'ogni parte”. (Il Monitore Bruzio, Giornale Uffiziale della Calabria Citeriore, 1860).
Nel tardo pomeriggio del 31 agosto del 1860, Garibaldi entrò a Cosenza tra la folla in festa per il suo arrivo. Portato in braccio nel Palazzo del Governo, parlò dal balcone al popolo che nella piazza sottostante manifestava una gioia incontenibile. I cosentini, così come i calabresi in genere, afflitti da una povertà secolare e perciò desiderosi di terre, avevano riposto le loro speranze in Garibaldi. La figura del Nizzardo che combatteva per la liberazione dei popoli oppressi, l'eroe dei due mondi animato dagli ideali di libertà e amore per la Patria, portò una ventata di ottimismo tra i calabresi, stanchi ormai dei continui disordini per la questione silana. L'usurpazione delle terre demaniali in Sila segnava la vita dei contadini e per tutto l'800 essi subirono l'ambigua situazione che era venuta a crearsi: da una parte gli avvocati che rinviavano le sentenze di reintegra dei demani usurpati e dall'altra la stessa monarchia borbonica che gestiva con doppiezza la questione, controllando sia i contadini che i proprietari, al solo scopo di ottenere consensi.





Qualche anno prima, esattamente nell'agosto del 1854, il commissario civile per gli affari della Sila, Pasquale Barletta, aveva pubblicato un Regolamento sulla divisione provvisoria dei demani silani tra Cosenza e i Casali. L'assegnazione fu compiuta tenendo conto della popolazione dei singoli comuni. Una suddivisione provvisoria stabilì le quote di uso per le famiglie indigenti, in base ai componenti del nucleo familiare. Barletta offrì una buona possibilità di lavoro ai contadini che occupavano i terreni o vi esercitavano abusivamente gli usi civici perché li ritenevano usurpati.
Fu in questa situazione di crisi sociale, economica e politica che si inserì l'arrivo di Garibaldi in Calabria: se tra le classi sociali meno abbienti dilagava il malcontento causato dalla questione silana, da quella relativa ai beni ecclesiastici e dai pesanti dazi, tra la borghesia, invece, detentrice del potere amministrativo nelle province e nei comuni, si inseguiva la speranza della dissoluzione del regno borbonico per reimpadronirsi delle proprietà requisite dal commissario Barletta con il decreto del 1854.
Garibaldi sbarcò a Mileto il 19 agosto 1860. La Calabria mostrava ancora le ferite lasciate dalle Idi di marzo di Cosenza del 1844 e dai fratelli Bandiera, così come era ancora vivo il ricordo della spedizione del 1857 capeggiata da Carlo Pisacane e dal calabrese Giovanni Nicotera. Presentava soprattutto una grave arretratezza.
Pochi giorni più tardi giunse a Cosenza la notizia che Garibaldi aveva liberato il territorio reggino e che era in procinto di marciare verso nord. Una moltitudine di coraggiosi cittadini, allora, si riunì davanti al Palazzo dell'Intendenza per osannare il Dittatore, il Re, l'Unità d'Italia. Il Monitore Bruzio così descrisse quei momenti: “La folla accalcata percorreva la città, che vedesi in un baleno illuminata a festa... La lieta novella si spande nei paesi circonvicini, ed ai lontani l'annunzia il telegrafo. Il dì seguente 24 agosto, la Provincia proclama unanimemente l'insurrezione, e al tocco delle campane, vecchi, giovani e fanciulli corrono alle armi”.
Subito le autorità municipali dichiararono decaduto il Re Francesco II di Borbone, mentre i cittadini correvano a combattere nei campi organizzati nella provincia con un tale entusiasmo che preoccupò il comandante della brigata di Cosenza, il generale Caldarelli. Egli, dopo aver impegnato le sue forze nel Largo Santa Teresa su Colle Triglio e puntato i cannoni sulla città, il 27 agosto si arrese e si impegnò di non combattere più contro l'Unità d'Italia.
Dopo la resa dell'esercito borbonico a Soveria Mannelli avvenuta il 30 agosto e il passaggio dei soldati borbonici nelle truppe garibaldine del generale Stocco, Garibaldi si avviò verso Rogliano. Durante la sosta ad Acrifoglio, nei pressi di Scigliano, inviò a Donato Morelli il famoso telegramma dal seguente contenuto: “Dite al mondo che ieri coi miei prodi cavalieri feci abbassare le armi a 10.000 soldati comandati dal generale Ghio. Trasmettete a Napoli e ovunque la lieta novella”.
La numerosa armata degli ufficiali napoletani si rivelò incapace e codarda: intimorita dalla notizia dell'imminente arrivo del Dittatore, si arrese dinanzi a un esercito di pochi uomini senza opporre resistenza. Gli storici del tempo descrissero l'euforia della cittadinanza che si mise in cammino per accogliere Garibaldi, considerato il loro salvatore. Scene di fanatismo si verificavano al suo passaggio, alcuni si inginocchiavano, altri gli baciavano le vesti. Grande era la speranza dei contadini per un cambiamento generale delle loro condizioni di vita, che il nuovo governo, forse, avrebbe potuto apportare.
Giunto a Rogliano, Garibaldi nominò Donato Morelli Governatore della Provincia. Sorse quindi un governo provvisorio denominato 'Governo generale della Calabria Citra' che esercitò sul territorio il potere autonomo riconosciuto dal Re Vittorio Emanuele II.
Donato Morelli e suo fratello Vincenzo furono tra i protagonisti del 1848 cosentino. Processati e condannati dalla Gran Corte Criminale, accolsero dopo diversi anni l'invito dei liberali napoletani a preparare la Calabria alla campagna garibaldina. L'obiettivo era l'unificazione della penisola sotto la monarchia costituzionale dei Savoia. A Cosenza nacque un Comitato Centrale che avrebbe dovuto promuovere l'insurrezione anche con il coinvolgimento dei rappresentanti del regime borbonico. Donato Morelli era sicuro che Garibaldi avrebbe dato un forte impulso al processo di unificazione italiana, ma anche lui e la sua famiglia come i Barracco, i Berlingieri, i Compagna, i Gallucci, i Guzzolini, i Lucifero erano usurpatori di terre demaniali silane.
A Rogliano Garibaldi emanò i famosi Decreti con cui ridusse il prezzo del sale, indispensabile per conservare gli alimenti e di difficile reperimento; abolì la tassa sul macinato per le granaglie, ad eccezione del frumento. Deliberò soprattutto che gli abitanti poveri di Cosenza e dei Casali potessero esercitare gli usi civici di pascolo e semina gratuitamente nelle terre demaniali della Sila. Era questo il provvedimento tanto atteso dai contadini.
Dopo la sosta a Rogliano, Garibaldi proseguì per Cosenza dove fu accolto da cittadini e autorità in festa. Il Monitore Bruzio così scriveva: “Tutte le carrozze ornate di bandiere erano state ad incontrarlo, mentre la Guardia Nazionale, Legioni Calabre numerosissime schierate in bell'ordine, ed una folla di popolo mai vista, lo aspettavano col guardo raggiante di tripudio. E' impossibile descrivere l'entusiasmo che suscitò il suo apparire. Entrato nel Palazzo del Governo salì le scale portato sulle braccia di onorandi cittadini. Chiamato dal popolo si affaccia dal balcone, e le grida di contento n'andavano a cielo. La vista di quegli armati corsi ad un cenno di Lui, di quel popolo foltissimo, di tante bandiere e lini agitati per l'aria, commosse il suo animo, né sapeva distaccarsi da quel luogo dove ritornò per tre volte. Canti e suoni per tutta la notte dettero alla città spettacolo novissimo e grande... Ringraziate, disse, da parte mia questa brava popolazione per l'accoglienza fattami e dite a tutti che son dolente di non aver potuto correre tutta la Città a cavallo”.
Il primo settembre visitò con la divisione Bixio e con molti cosentini il Vallone di Rovito, luogo dell'esecuzione dei fratelli Bandiera e dei loro compagni. Ancora Il Monitore Bruzio: “Era ben giusto versar lagrime pe' Martiri della nostra redenzione. Fu aperta la cassa di ferro che conteneva le ossa di que' trapassati, si spiegò la loro bandiera. La divisione Bixio e gran parte del popolo recati al luogo dove fu consumato il misfatto, udirono le commoventi parole del Generale. E fino il sesso gentile prese parte all'universale commozione... Sì Donne Calabresi, voi ben meritate la stima delle altre sorelle italiane, per le quali ora sta per compiersi il vaticinio del gran poeta Recanatese: Così l'eterna Roma in duri ozii sepolta femmineo fato avviva un'altra volta”.
Garibaldi riprese il viaggio verso Castrovillari. Il 21 settembre 1860, Donato Morelli scrisse al Ministro di Grazia e Giustizia per ribadire che la provincia, già dai primi del mese, avendo riconosciuto come sovrano Vittorio Emanuele II, non avrebbe potuto più ricevere ordini dal governo borbonico. L'otto ottobre, a Napoli, Garibaldi convocò i comizi per accettare o rigettare il plebiscito che voleva l'Italia una e indivisibile.
I Decreti emanati dal Generale durante la sua permanenza a Rogliano crearono speranze tra i ceti poveri, un sogno che durò solo pochi giorni. Il decreto a favore degli abitanti poveri di Cosenza e dei Casali non fu mai attuato perché Morelli, con un altro decreto datato 5 settembre 1860, svuotò le disposizioni di Garibaldi. Il provvedimento non era ben visto dai grandi proprietari che mai avrebbero rinunciato alla difesa dei loro interessi. Cinque giorni dopo l'emanazione, infatti, lo stesso Morelli, appartenente al ceto dei possidenti, ridusse le zone concesse ai contadini per esercitare i diritti di pascolo e di semina e stabilì che questo esercizio non poteva impedire ai proprietari di far valere le proprie ragioni. I contadini rimasero nella loro storica miseria nonostante i tentativi di ribellione che si susseguirono. Con il nuovo Regno ricominciarono le lotte contadine e i fautori subirono una repressione durissima. Nel 1876 il Parlamento legittimò le usurpazioni silane, riconoscendo i possessori di fatto.
Il passaggio di Garibaldi, atteso e acclamato, rivoluzionario da un punto di vista politico e sociale per i cambiamenti che intendeva attuare in favore della popolazione cosentina, fu vanificato da un figlio di quello stesso popolo, che si adoperò immediatamente affinchè tutto rimanesse come era sempre stato.

 
Francesca Canino
Pubblicato sul sito www.francoabruzzo.it giornalisti e la costituzione.
 

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