Con una di
quelle che una volta si sarebbero definite «leggine», il Parlamento ha
avvertito l'esigenza di emanare nuove norme regolatrici della vasta materia
sinora conosciuta (o piuttosto, disconosciuta) come «usi civici», cambiandone
la dizione in «domini collettivi», senza abolire la legge fondamentale, che
risale a un decreto legge del 1924.
Sembra questa l'unica vera novità della riforma, perché in realtà, tutto rimane
come prima, al di là di enunciazioni di valore e di un'elencazione descrittiva
della categoria dei beni collettivi. C'era bisogno di chiarimenti sul tema?
Pare proprio di no.
La denominazione di usi civici era usata dal legislatore del Regno in maniera onnicomprensiva,
intendendo unificare una serie di fenomeni assai diversi tra loro, in una
chiara prospettiva di smembramento e parcellizzazione della proprietà indivisa,
in aderenza al modello economico di proprietà individuale emerso nel corso dei
due secoli precedenti.